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Archive for Maggio 2005

Calatrava
(entr’act – 1999-2000)

Qualcuno lo farà.
Arrampicarsi sul ponte di Sevilla
con un ancoraggio da alpinista,
o a mani nude come eroici uomini ragno
da pubblicità,
sul rostro bianco che lancia verso il cielo
la traiettoria della freccia di un mito
che non può sbagliare la mira,
appiattito contro l’infinito,
smarrito
nelle tre dimensioni, impennato
in una fuga avvolgente, in un alto-basso-circolare senza opposti.

Arriverà lassù senza una vertigine,
e dopo aver provato il vento e i suoni
della lontananza dal mondo, dopo aver capito
qualcosa in più sulle leggi della statica
e sull’inutilità del bello, spiccherà
il folle volo di ricognizione
per tradurre nei modi bruschi di un inventario
le forme e la natura stessa di queste nuove specie,
archeosauri di cemento armato,
uccelli dalle fossili ali leggerissime, sparsi,
in attesa di reciproci segnali di riconoscimento,
tra i cinque continenti e tubi da architetto.

Dall’alto, dalla prospettiva delle nuvole,
li vedrà in ascolto, apparentemente
immobili (aspettano perché solo loro conoscono
un codice cifrato e con quello
sono in comunicazione;
hanno la vista lunga, sanno tutto
gli uni degli altri, della malinconia di quel volo
fotografato, raggrumato
nel loro destino di metafore,
in un fare finta di niente
di fronte alle piogge, alla nebbia,
agli occhi indifferenti di passanti
assonnati,
ai giorni che passano).


L
yon, ingobbito, austero, regale bifronte Giano
leggerissimo. Archetipica alata fine del viaggio.

 

Zampe affusolate tenaci apparentemente.
Come giraffe, fragili, giunture elastiche
a Toronto, sottile incrocio di costole, elegante e
compiaciuto. Rettile innocente,
tecnologico e pallido.

 

 

Barcelona: una zampa, il corpo di uno struzzo
reduce dal futuro, soddisfatto,
indirizzato verso il desiderio struggente di un viaggio di ritorno
garantito dalla volontà che non attutisce
la nostalgia, la indurisce anzi, la scava come
chi non può farsene scudo. Un guerriero,
dalla corazza troppo fina, impassibile
perché non ha altro, se non fissare
un punto minuscolo dell’infinito.
E trasmettere onde.

Santiago Calatrava Valls, architetto

Categorie:testi

30 Maggio 2005 22 commenti

Caro WM1

Se ancora passi da queste parti, desidero esprimere tutto il mio orrore per questo.
Che è semplicemente falso. Demagogico. Ignobile.
Come si puo’ strumentalizzare il dolore? Il disperato desiderio di guarire?

Per dire: la scienza sta facendo progressi incredibili sulle staminali adulte; ed è di sabato la notizia di una ricerca – ancora non pubblicata, per ora solo annunciata – su un nuovo metodo di trattare le staminali senza interessare l’embrione.
Tu ne sai qualcosa? Io ne so qualcosa? La povera ragazza in questione ne sa qualcosa?
Secondo te un Angelo Vescovi ne sa qualcosa o è un giannizzero al soldo di Ruini?

Come si fa a ideologizzare il dolore?

Come puo’ la cultura laica, razionalista, ignorare quello che dice la scienza? E cioè che Giulia non ha alcuna possibilità di essere guarita dalle cellule staminali embrionali?
E allargando la prospettiva: Carmilla, che immagino si rifaccia a principi di cultura laica e non confessionali di nessun tipo, pubblicherebbe questo (che cito qui di seguito)? E se no perché? Ci sono staminali di sinistra e staminali cattoliche? Non vi rendete conto dell’assurdità? E questa sarebbe una reazione all’oscurantismo?
In questo modo io mi sento tradito dalla cultura laica.

[ Ci viene infatti spesso spiegato il contrario del vero, e cioè che le cellule staminali embrionali rappresentano se non l’unica (concetto che comunque in molti propongono), sicuramente la via migliore per lo sviluppo di terapie cellulari salvavita. Si allude spesso, nemmeno troppo velatamente, al fatto che le terapie a base di cellule staminali embrionali sarebbero addirittura già disponibili.
Non posso mancare di notare come un tale approccio è totalmente infondato e pone il cittadino, presto chiamato a decidere sulla validità della legge sulla fecondazione assistita, di fronte ad un dubbio dilaniante: lasciare morire milioni di persone o permettere l’uso degli embrioni umani per generare cellule salvavita? […]

Non ci sono terapie “embrionali”
A dispetto di un oggettivo, significativo potenziale terapeutico, non esistono terapie, nemmeno sperimentali, che implichino l’impiego di cellule staminali embrionali. Non è attualmente possibile prevedere se e quando questo diverrà possibile, data la scarsa conoscenza dei meccanismi che regolano l’attività di queste cellule, che ci impediscono di produrre le cellule mature necessarie per i trapianti, e data la intrinseca tendenza delle staminali embrionali a produrre tumori.

Secondo, ma non meno importante, esistono numerose terapie salvavita che rappresentano realtà cliniche importanti, quali le cure per la leucemia, le grandi lesioni ossee, le grandi ustioni, il trapianto di cornea. Tutte queste si basano sull’utilizzo di cellule staminali adulte. Inoltre, sono in fase di avvio nuove sperimentazioni sul paziente che implicano l’utilizzo di cellule staminali cerebrali umane.

Terzo, le terapie cellulari per le malattie degenerative non si basano solo sul trapianto di cellule prodotte in laboratorio. Esistono tecniche altrettanto promettenti basate sull’attivazione delle cellule staminali nella loro sede di residenza. Saranno quindi le cellule del paziente stesso che si occuperanno di curare la malattia, una volta stimolate con opportuni farmaci. Ovviamente, trattandosi delle cellule staminali del paziente stesso, i problemi di rigetto che, ricordiamolo, possono esistere col trapianto di staminali sia embrionali che adulte, in questo caso non sussistono.

Quarto: la produzione di cellule staminali embrionali può avvenire senza passare attraverso la produzione di embrioni. Sono infatti in corso studi grazie ai quali è possibile deprogrammare le cellule adulte fino a renderle uguali alle staminali embrionali senza mai produrre embrioni. Si tratta di una procedura che ha la stessa probabilità di funzionare della clonazione umana, ma scevra da problemi etici e che produce cellule al riparo da rischi di rigetto.]

(Angelo Vescovi, discorso pronunciato all’Accademia dei Lincei il 31 gennaio 2005)

Categorie:referendum l 40

30 Maggio 2005 2 commenti

Per il diritto all’informazione, contro ogni censura

Una prestigiosa casa editrice italiana (Einaudi) pubblica un libro di Virginie Despentes intitolato "Scopami". Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali include questo libro in un elenco di testi consigliati agli adolescenti nell’ambito della campagna contro la droga "Il vero sballo è dire no" (file PDF, n.d.r.).
Una biblioteca comunale collocata all’interno di una scuola acquista il libro. Un’utente della biblioteca, una ragazza di quattordici anni, chiede e ottiene il libro in prestito. La bibliotecaria che ha autorizzato il prestito viene per questo denunciata ai carabinieri e condannata dal giudice per le indagini preliminari al pagamento di una multa ai sensi dell’art. 528 del codice penale: l’opera sarebbe oscena e la bibliotecaria colpevole di averla fatta circolare. La vicenda è cominciata nel 2000 ed è tuttora in corso. L’interessata ha presentato opposizione alla condanna, e tutta la comunità bibliotecaria attende con fiducia l’esito della causa (la prossima udienza è fissata per giugno 2005): l’esame attento degli elementi di fatto e di diritto non potrà che portare alla piena assoluzione
.

Continua qui.
Ci sarebbe un appello, per chi vuole.

Categorie:libri e dintorni

28 Maggio 2005 2 commenti

Tafazzi è vivo e lotta insieme a noi

Nazione indiana si è suicidata, precedendo di poco la formidabile Gad o Fed o Unione o quello che è.

Vista da fuori è totalmente incomprensibile.

Categorie:no comment

27 Maggio 2005 2 commenti

Impressionismi primaverili (quasi estivi)

Oggi sono in ferie. Per finire quelle del 2004, altrimenti le perdo. Meraviglioso dolcefarniente (una delle poche parole, a parte quelle del gergo musicale, che abbiamo esportato nelle altre lingue europee) . Decisamente vorrei fare il pensionato. O lo scrittore.

Lasciata la macchina dal meccanico, per il bollino blu, per tornare a casa ho preso per il parco regionale urbano del Pineto. Farò una passeggiata.
All’ingresso, su via della Pineta Sacchetti, hanno messo su una specie di festa, credo della Protezione civile. Stand, gazebo, scolaresche. Sul palco un tizio in giacca e cravatta, con il microfono in mano, parla ad una platea deserta di sedie bianche in vetroresina:  “Ricordo che domani, sabato, la festa proseguirà con…” “Tutti quelli che hanno lasciato la macchina dentro il parco sono pregati di spostarla immediatamente: e quando dico immediatamente voglio dire subito!”
Le sedie ascoltano ordinate, con grande compostezza.
Poco lontano, sotto i pini, un gruppo di bambini, tutti con il cappellino rosso, corrono come forsennati lungo un percorso di guerra delimitato da fettucce bianche e rosse, le stesse che i vigili utilizzano quando c’è la potatura dei platani, o deve passare Bush. Accanto al percorso, un maneggio in miniatura permette a un gruppetto di ragazzi diversamente disabili l’ebbrezza di una cavalcata. Anche questi hanno il cappellino rosso, ma messo su in un modo così sciatto che sembra che sia l’ultima cosa che gli interessi. Subito dopo i cavalli.
L’animale è così lento e svogliato che a un certo punto con una zampa comincia a grattarsi l’altra. Il ragazzo che sta su non si accorge di niente e guarda dall’alto il mondo con un’espressione tra la paura e la curiosità.
Mi allontano.
In un campo di grano, dalle spighe già alte e folte, le rondini volano basse, intrecciando le traiettorie  sopra la mia testa. Per via dell’eco, o di non so cosa, le voci dei bambini anziché diminuire, aumentano via via che mi allontano dalla pineta. E con loro le sirene delle ambulanze dirette al Gemelli.
Fatti pochi passi il lago verde, giallo, violaceo, e grigio della terra matura mi abbraccia in un ronzio perpetuo di insetti e lievi ondeggiamenti delle spighe. Il caldo spande una benefica nostalgia di posti mai vissuti. Un paio di uomini anziani, uno in canottiera, l’altro a torso nudo, con la fronte gocciolante di sudore. Fermi sul sentiero, prendono fiato.
In fondo alla collina, alla mia sinistra, c’è un altro gruppo di bambini delle elementari, anche loro con il cappellino rosso in testa, messi in cerchio, in ascolto di quello che sta dicendo loro presumo la maestra.
“Daniele!” urla la voce di una giovane donna: Daniele, come l’ultimo cavallo renitente ad entrare nella mossa, al Palio di Siena, va avanti e indietro, rapido, fuori dal semicerchio dei compagni, per conto suo, con le mani in tasca.
Cambio direzione. Sono contento per loro, sono anzi felice che questi bambini passino la mattinata qui e non dentro l’aula, ma io voglio starmene da solo, in silenzio.
Roma si apre, periferica e grigia, in basso, sulla destra, occupando lo spazio fino all’orizzonte, emergendo dalla cima del mare di spighe altissime.
Seguo un sentiero impervio, confidando sul fatto che per i bambini lo sia troppo.
All’improvviso invece le voci mi sono alle spalle, vicinissime. Sarà l’eco, ma sicuramente si sono avvicinati. E di molto.
“Daniele!” urla la voce di prima. Sono a pochi passi, Sento il rumore delle spighe afflosciarsi sotto i loro passi.
Scendo a grandi passi lungo una piccola forra di argilla sfarinata, all’ombra. Improvvisamente il caldo si fa una cosa solida, protetto dal fogliame che lo attenua ma lo ispessisce.
Di qui di sicuro non scenderanno. Pochi passi e sono al fondo della collina, nel sottobosco. L’acqua della marrana ospita centinaia, migliaia di piccoli girini neri, una sorta di spermatozoi politicamente corretti, panciuti, con la coda lunga e in perenne movimento. Poche zanzare, pochi moscerini. Il canto degli uccelli, nascosti fra le foglie dei lecci.
Vado ancora avanti, seguo il ruscello. Devo attraversare un ponticello di tronchi fradici e malfermi. Ho le timberland.
Ecco che le voci si riavvicinano, non ci posso credere. Non penseranno di passare di qui!
“Daniele!” Ripete la solita voce. Li sento distintamente: “Daniele indietro: prima il guardaparco, questa è la regola del parco. Poi le mamme, poi i bambini.” Ci sono anche le mamme. Non possono decisamente passare di qui!

Ai bordi del sentiero crescono le foglie gigantesche che da piccolo mi terrorizzavano. La boscaglia ora si fa fitta, intricata, ricchissima di specie che non conosco, e un po’ mi dispiace, anche se l’esattezza enciclopedica di Calvino non è proprio l’esattezza di cui sento il bisogno quando leggo un libro, e se dico una cosa tipo “c’erano un sacco di alberi di cui ignoravo il nome” trovo che sia più esatto che nominarli tutti uno per uno.
Adesso le voci dei bambini e delle maestre si sono fatte più lontane. Ho preso per un sentiero laterale, che segue i binari in disuso della ferrovia. C’è l’ultimo passaggio difficile, il più difficile, non c’è neppure un tronco che faccia da passerella, solo sassi: non precisamente il massimo per le mamme e per i bambini (non per Daniele, presumo). Il torrente a questo punto si spande senza più intensità lungo i bordi del sentiero, che si fa acquitrino senza avvertire. In aprile il ruscello invece si gonfia e di fa impetuoso, raccogliendo le acque del disgelo delle montagne dalle parti di Rieti (almeno è quello che ipotizzano quelli che il Pineto lo conoscono, ma è difficile seguire il corso del torrente, non so se nelle carte sia mai stato riportato).
Il caldo umido qui sembra rimanere appoggiato sulle foglie più alte. I raggi del sole sono misurati e gentili, siamo ancora in maggio, del resto.
Proseguo. Trovo un ramo di traverso. Una novità, deve essere caduto questo inverno, chissà perché. Il vento. Mi siedo, con la faccia al sole. Dallo zainetto prendo un taccuino e rileggo quello che ho scritto ieri pomeriggio in metropolitana sui romanzi di destra e di sinistra, e lo finisco.
Ora il silenzio è assoluto, eccetto gli uccellini. Passa un elicottero della polizia, attraversa proprio il triangolo di cielo azzurro sopra di me.  Il sole è più caldo e mi sfilo la Lacoste, già chiazzata di sudore.
Un consiglio: se dovete nascondervi per un po’ questo è il posto giusto.

Torno a casa. Al campo di calcio non c’è nessuno. Conto le carcasse dei motorini rubati appoggiati ai bordi della stradina, che si è fatta larga e ghiaiosa. Tre, neppure tante. La vecchia tribuna di tubolari arrugginiti è aggredita da rovi, e i pioppi scintillanti, davanti casa mia, nascondono la ciminiera dell’ultima fornace.

Categorie:roma, testi

27 Maggio 2005 1 commento

Di destra, di sinistra…

Scrittori, o meglio, libri di sinistra, di destra, di centro? Perché no? A patto di riconoscere che ci sono libri né di destra né di sinistra né di centro… A patto, soprattutto, che si accetti (in nome di che? della letteratura, direi) che il romanzo di sinistra non somiglia per niente, o non dovrebbe, a ciò che s’intende comunemente per sinistra (destra, centro). Per il semplice motivo che essendo, come detto, la letteratura il filtro, la lente attraverso cui valutare l’appartenenza, o la non appartenenza, e non quella abitualmente indossata dalle strutture interpretative grossolane della comunicazione (giornali, TV), il nome dato alle cose rimanderà per forza ad altro, in quanto codificato (o quantomeno ispirato) dalla verità, cioè dall’arte (o dall’arte, cioè dalla verità).
Verità e arte, si dirà, normalmente non riconoscono tassonomie vaghe e banali come destra e sinistra, ma in realtà questa è una valutazione viziata da un difetto di prospettiva.
L’arte, è auspicabile, non le tematizza, perché le comprende, lo è (di destra, di sinistra, di centro). Ne sono intrise, come di tutto. Sulla scorta di legami, proclami, ideologie, manifesti, testi, derivazioni, astrazioni, ma soprattutto sulla base del suo ruolo fondante la verità (“ciò che resta lo fondano i poeti”, Hölderlin) e quindi sfruttando la propria funzione profetica, o di sintesi, insomma dall’alto, o dal lato della sua collocazione, che è dentro e fuori contemporaneamente del mondo, la verità, l’arte, definisce, abbraccia, riconosce, anticipa il pensiero che è che sarà, (e le ideologie, e i modi di essere e di vedere la realtà), mettendo in essere le basi sulle quali poi la volgarizzazione della comunicazione mediatica applicherà le sue etichette, facili categorizzazioni di tassonomisti nemmeno tanto simpatici come almeno erano Bouvard e Pécuchet.

Se dunque la collocazione politica della letteratura è altro da ciò che abitualmente sappiamo delle collocazioni politiche, certamente la critica un chiara collocazione politica invece ce l’ha. Ce la può avere. Certa critica. Sì. Lo so che critica è un’espressione ardita, una bella forzatura quando la applichiamo agli ormai famosi bee-jay di scarpiana memoria. Quando la applichiamo al signor D’Orrico (parlando del quale sarebbe una forzatura qualsiasi tentativo di assimilarlo a concetti conosciuti in ambito culturale e non).
Se un giornale dichiaratamente, faziosamente e orgogliosamente di destra, come il Giornale di Berlusconi (Paolo, ma pur sempre) tesse le lodi di un certo romanzo (uno a caso, Perceber), questo sic et simpliciter diventa un romanzo di destra? E’, era, nelle intenzioni (migliori) dell’autore, un romanzo di destra?
La risposta è facile e netta: no.
Lo stesso vale per la sinistra, ovvio (uno a caso, La ragazza che non era lei). La risposta è sempre no. Anche se ciò non lo esclude, è chiaro. Un romanzo può e vuole essere di sinistra, perché no.
Questo vale anche per le recensioni? Una recensione pubblicata su un giornale di destra è di destra? Cioè, riflette, sempre sic et simpliciter, il pensiero culturale della destra (posto che ve ne sia uno – e non lo dico con sarcasmo, o faziosità: io non l’ho ancora capito, se al di là degli Hobbit ne esista uno: e al di là dell’attribuirsi, di annettersi opere dell’ingegno solo perché non sono manifestamente di sinistra, come – per fare un esempio basso – i film di Muccino)?
Dipende. Non sempre. Dipende dal libro, in larga misura.

Quando però il signor D’Orrico prende tre romanzi, li mette insieme, e dedica loro venticinque parole di volgare, immotivato e snobistico veleno, ancorché in dosi omeopatiche; quando i tre romanzi fanno parte, oggettivamente, di una medesima famiglia culturale (perché, come dice Giulio Mozzi non più giuliomozzi in Vibrisse, raccolgono intorno a sé un consenso culturale molto ben connotato) allora la mini-stroncatura, proprio perché mini, proprio perché collettiva e non casuale, proprio perché immotivata diventa un atto politico dalla triplice funzione: la prima, la più ovvia e diretta, quella di schierarsi politicamente. Anche se la ragione dovesse essere quella che i tre libri non sono piaciuti, non si mettono insieme tre libri di questo tipo se non sia ha la voglia, animata da un intrattenibile spirito rivendicativo, di fare un discorso politico. E il messaggio è chiaro nella sua natura schiettamente polemica: Io, nella mia banalità, nel mio rivestire un ruolo comicamente nevralgico, io omettino senza un quattrino ma molto, molto pericoloso perché scrivo sul Corrieredellasera, io sono un fascista.
Il secondo, di risulta, quello di etichettare, in modo automatico, stavolta, i tre romanzi in questione. Non sono solo brutti romanzi; sono romanzi che ricevono l’applauso unanime, o quasi, della critica di sinistra. Quindi attenzione, sono romanzi di sinistra. Sono brutti romanzi di sinistra.
D’Orrico non spreca il suo tempo per spiegare perché siano brutti romanzi (due dei quali, La ragazza che non era lei – e qui – e Duro come l’amore di Rossana Campo hanno ricevuto recensioni molto lusinghiere; al terzo, quello di Franz, niente paura, ci penserò io ). Non ha importanza il perché. Dovete fidarvi del picchiatore D’Orrico (metaforico, ma tant’è).
Ha dunque importanza il fatto che siano proprio quei tre. Vanno disprezzati perché rappresentanti del pensiero culturalmente dominante della sinistra (vero o falso che sia: non importa).
Dunque la terza conseguenza, non voluta ma anche questa molto chiara, è che l’appartenenza politica di un romanzo, quando applicata, non è neutra, ma causa di discriminazione, di rifiuto. Non le ragioni della letteratura dunque hanno peso. Solo quelle dell’appartenenza ad una famiglia sociale chiaramente connotata (altrimenti qualche spiegazione l’avrebbe pur data: se a Tommaso Pincio – a Tommaso Pincio –  viene suggerito di cambiare lavoro a me non viene in mente altra definizione, per chi ha pronunciato l’anatema, di fascista – tecnicamente fascista, dico: un volgare, inculturato, potente, sarcastico, misero e al tempo stesso tragico individuo: un po’ come il giovane figlio di un piccolo gerarca locale, ne La notte di San Lorenzo, non so se ve lo ricordate).
Quindi esistono i romanzi di sinistra, di destra e di centro. Come no.
Ma la valorizzazione della loro natura politica da parte della critica da quotidiano, o da supplemento, serve solamente a screditarli, e ad accreditare in un posizione di forza il potere che, assumendo di volta in volta facce diverse, ma sempre terrificanti, li cancella con un volgare tratto di penna, o di manganello, in venticinque righe.
 

 

26 Maggio 2005 11 commenti

Il calcio è questa cosa qui

LiverpoolUna cosa orribile, a ben vedere.

Cosa avete capito? Da 3 a 0 a 3 a 3… no, non è questo.
C’entra che l’onta è stata vendicata. Nel modo contorto e ingiusto che regola le cose del calcio.

30 maggio 1984. Una delle più forti squadre italiane di sempre, la Roma di Cerezo, Di Bartolomei, Falcao, Pruzzo e Bruno Conti perde, in casa, contro il Liverpool la finale dell’allora coppa dei campioni, ai calci di rigore.

Ieri sera, 25 maggio 2005 è successa la stessa cosa, ma a perdere è stato il Milan.
Di quale vendetta parlo, di grazia, se è sempre il Liverpool a vincere ai rigori?

Semplice: la vendetta sui lazzi e le prese per i fondelli che ho sentito per ventuno anni, gli ironici grazie lo stesso. Il nemico non è il Liverpool. Anzi. Il nemico è il vicino di casa!

Sorry, ora tocca a voi. Niente sconti. La tragedia è servita.

Categorie:football

25 Maggio 2005 1 commento

"Il romanzo è il vero conio del potere…

… è il modulo prestampato che distribuisce il sistema editoriale, e che il romanziere accetta suo malgrado di compilare." (Livio Borriello, su Nazione Indiana)

Interessanti le osservazioni di Borriello. Io non condivido, ma fanno riflettere.
Mi sembrano peccare di provincialismo (questa povera putrescente pozzanghera che è l’Italia culturale di oggi non mi sembra un buon punto di osservazione per parlare del Romanzo).
Secondo: mi pare che ci sia un difetto nella mira: è un po’ se ce la prendessimo con l’inverno quando fa freddo (ce lo siamo messo il cappotto? e i guanti? e la sciarpa?).

Depotenziare il valore dell’oggetto comunicato a vantaggio del mezzo non è un buon servizio reso alla comunicazione. Il mezzo è il messaggio, certo, chi sono io per contestarlo. Tuttavia, ancorandoci modestamente alla realtà, io penso che negli ultimi venti anni ci siano stati un bel numero di romanzi fondamentali per la crescita culturale dell’umanità; e che anche quelli che non lo sono, rimangono fedeli ad una aspettativa inesauribile e profonda che non è semplicemente di retroguardia. Anzi io penso che proprio oggi lo sia sempre meno, proprio perché la TV è così preponderante nell’offerta di fiction. La parola scritta rimane, nel mondo, non so in Italia – ma in Italia non lo è mai stato – l’alternativa radicale alla devastazione e alla viltà dei tempi (parafrasando Genna).

C’è poi una contraddizione: la questione della fastidiosa arroganza intellettuale del romanziere.
Superiorità e presunzione culturale è proprio quella che pretenderebbe di sottrarre al mondo la forma di affabulazione fantastica che il mondo ha eletto come proprio modello privilegiato.
Che da un punto di vista generale vi sia un problema di conservazione dell’esistente, di un controllo culturale molto efficace da parte dell’editoria sui contenuti e che questo sia anche veicolato dal romanzo è vero.
Ma è sempre stato così.
Io non credo che "non sia più possibile scrivere un romanzo dal suo interno, ma solo disponendosi nello spazio che lo contiene, solo nel movimento di ripiego necessario a rientrarvi" poiché lo spazio che contiene ogni romanzo è da sempre quello della classe dominante; il che però non ha impedito che proprio dal suo interno siano nate non solo forme sperimentali, rivoluzionarie, ma anche un corroborante lavorio sotterraneo di consolidamento delle coscienze per le vie miracolose della trasformazione della realtà codificata in metafora, sogno, riscatto.

I contenuti digitali nell’era di Internet

Oggi sono servizievole. Un altro post di pubblica utilità. Al seguente indirizzo la relazione curata dal Ministero per l’Innovazione e le Tecnologie
http://www.innovazione.gov.it/ita/intervento/normativa/pubblicazioni/cdei.shtml.

Vi si parla anche di problematiche relative al diritto d’autore & Internet. (per la precisione qui, ma attenzione: è un pidieffone di 400 e passa kb)

Questo anche a proposito delle discussioni su NI. C’è un po’ di – legittima – confusione in merito. Tutto ciò che mente umana partorisca è tutelato dal diritto d’autore. Il che non significa che sia facile e banale venire risarciti se qualcuno ci frega l’idea. Significa che il diritto d’autore è prima di tutto un diritto morale e solo dopo economico.
Che significa infatti quando scadono i diritti di un’opera?  La si puo’ forse plagiare?
Si può pubblicare l’infinito attribuendolo, che so, alla Mazzucato?

Normativa sull’editoria

Un post di servizio, utile a chi è del giro (non a me, dunque): tutta la normativa relativa all’editoria in Italia
http://www.palazzochigi.it/normativa_editoria/home.htm

Categorie:libri e dintorni