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Posts Tagged ‘cinema e film’

Adesso se ne sono andati via tutti

Di fronte ad un suicidio, a qualsiasi suicidio, è bene astenersi da qualsiasi giudizio e far prevalere la pietà. Figuriamoci davanti al suicidio di un uomo di più di novant'anni, gravemente malato. E' più uno spegnere la lampadina e girarsi dall'altra parte per non farsi cogliere nel sonno e lucidamente, quasi per rabbia, o stanchezza decidere di non dargliela vinta, alla morte.

Detto questo, con l'addio teatrale di Mario Monicelli si è chiusa defintiivamente un'epoca.
Mastroianni, Gassmann, Tognazzi, Sordi, Age, Scarpelli, Risi, De Sica, Steno, ora Monicelli e tutti gli altri.
Molti hanno lasciato il loro cognome in eredità, ma onestamente non è la stessa cosa.

(resistono però le donne: Loren, Lollobrigida, Cardinale, Sandrelli….)

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Un pezzo di cinema non c’è più

Riso Amaro (De Santis), Guardie e ladri (Monicelli-Steno), Totò a colori (Steno), Miseria e nobiltà (Mattoli), Il maestro di Vigevano (Petri), Il boom (De Sica), La grande guerra (Monicelli), Guerra e pace (Vidor), I tre giorni del Condor (Pollack), L'uovo del serpente (Bergman), King Kong (Guillermin), Buffalo Bill e gli indiani (Altman) Conan il barbaro (Milius), Ragtime (Forman), Dune (Lynch), Manhunter (Mann), L'anno del dragone e Ore disperate (Cimino)…

Cos'hanno in comune questi film?

Quest'uomo qui, che è morto ieri. Mi ricordo che già quando ero bambino dire Dino De Laurentiis era come dire il Cinema. Si era pure costruito una città (Dinocittà). Ci si passava davanti per andare al mare. In famiglia se ne parlava con un po' di fastidio. Troppo ricco, megalomane.
Poi uno guarda la filmografia.

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Ancora 48 ore….

Stay tuned….

48 Hour Filmmaker: Rome 2010

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Un maestro

Furio Scarpelli è morto ieri, a novant'anni. E' stato il mio docente di sceneggiatura al Centro Sperimentale di cinematografia nel 1985. Da allora non l'ho più rivisto, o quasi. Da anni avevo interotto qualsiasi rapporto, seppur casuale.
Per qualche tempo, dopo il diploma, ho continuato a mandargli quello che scrivevo, ma dopo un paio di mancate risposte, ho smesso. Ma non gliene ho mai  voluto, non ci riuscivo.
Neppure come docente ci aveva mai dato l'aria di poter essere di un qualche aiuto pratico nei nostri ingenui tentativi di entrare nel mondo del cinema. Ma neppure allora gliene volevamo (un po' sì, anche perché pensavamo che la ragione del suo distaccato disinteresse per queste volgari questioni pratiche fosse in realtà che, fuori dal Centro, avesse già i suoi giovani da aiutare e che non ci fosse abbastanza spazio anche per noi, arrivati ultimi in questa corsa all'oro un po' patetica).

Le sue erano vere e proprie lezioni di scrittura creativa, solo che nessuno, allora, le chiamava così. Ci insegnava a leggere, prima di tutto. Scrivere era solo una conseguenza. Scrivere per il cinema una conseguenza di una conseguenza. Cecov, Maupassant, Dostoevskij, i suoi preferiti. E Flaiano, naturalmente.

Ma più di ogni altra cosa era un raccontatore, un affabulatore gentile, mai prevaricante. Era in grado di parlare per tutte e cinque le ore della sua lezione, seduto con le gambe incrociate sulle caviglie, con in bella mostra le calze di cotone rosse e le duilio scamosciate.
Era il prototipo dell'intellettuale comunista. Elegante ma sportivo, cravatta di lana e giacca in tweed, facondo, intelligente, critico e ironico ma fedele al partito, sempre presente a Santa Cecilia e nelle librerie del centro, una bella casa alla Collina Fleming.
Eppure non gliene volevo. Era impossibile. Anche non volendo, anche imbevuti di saccente, cinefila indifferenza per quell'uomo che ai nostri occhi appariva vacuo e sofisticato, non potevamo che rispettarlo, ascoltarlo, ridere magari senza farlo troppo notare.
A ripensarci dovevamo fare una fatica immensa per rimuovere dal più superficiale strato della coscienza la consapevolezza che avevamo davanti l'uomo che aveva scritto I soliti ignoti, La grande guerra, L'armata Brancaleone (secondo me il suo preferito), C'eravamo tanto amati, I mostri, I compagni. Un genio.

Erano due le cose che lo facevano infuriare. La prima il fatto che in Italia non ci fosse una letteratura contemporanea di qualità dalla quale attingere per scrivere film, come accade normalmente negli Stati Uniti. Questo vulnus della cultura italiana costringeva gli sceneggiatori ad essere, diceva, dei falegnami che dovessero anche costruirsi il legno.
La seconda era la sottovalutazione del lavoro dello sceneggiatore da parte della critica. Quell'anno era uscito C'era una volta in America, scritto da Benvenuti, De Bernardi, Medioli, Ferrini e Kim Arcalli. Secondo Scarpelli ciascuno di loro meritava la stessa considerazione di Sergio Leone, e sistematicamente venivano ignorati nelle recensioni che uscivano sui giornali in quei giorni.

Uno degli aneddoti che mi è rimasto impresso in tutti questi anni l'ho utilizzato in un racconto, pubblicato qualche anno fa su Inciquid, Un sogno spezzato in via Cecov. Non posso raccontarlo per non rovinare il piacere della lettura a quei pochi che dovessero avere la curiosità di leggerlo. Era una siocchezza, forse, ma mi ha sempre divertito e l'ho raccontato e lo racconto ogni volta che me ne capita l'occasione. E anche lui si divertiva un mondo a raccontarlo (più di una volta). Strizzava i suoi occhietti sottili dietro gli occhiali e si guardava intorno, annuendo com un Mister Magoo solitario, dignitoso, un po' aristocratico.
Mi dispiace non poterlo definire il mio Maestro. Ma forse chissà. Quante volte mi è capitato di citare la teoria del fachiro, o quella delle palline nella bottiglia?

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An education

[per quanti sforzi si possano fare è impossibile parlare di un film, come di una qualsiasi opera narrativa, senza entrare nel dettaglio della trama. Perciò si pregano tutti coloro che desiderino andare a vedere il film al cinema, o in DVD fra 4 mesi, di astenersi dalla lettura]

Ci sono alcune cose interessanti nel film “An education“, diretto da Lone Scherfig, una bella signora che fino ad oggi aveva all’attivo una serie di film pieni di å e di ø, scritto da Nick Hornby (lui lo sapete chi è), candidato all’Oscar come miglior film (esagerato), migliore attrice protagonista (idem: lei, Carey Mulligan, cerbiattescamente Audrey Hepburn di Vacanze romane, è brava e deliziosa, ma insomma, la Meryl Streep di Julie & Julia è anni luce superiore) e migliore sceneggiatura non originale (questa ci può stare, ma io ho un debole per il vecchio Nick).

Tra altri pregi (la cura minuziosa ancorché non manieristica per i particolari, dai vestiti all’arredamento, ai caratteri dei personaggi minori funzionale a rendere viva e palpitante la swinging London anni sessanta in cui è ambientata la storia – storia che si può sintetizzare così: Jenny, giovane studentessa di liceo, intelligente, sensibile ed emancipata quanto basta rampolla di famiglia molto piccoloborghese che investe tutto sulla di lei formazione come arma di riscatto cultural-sociale, viene sedotta da David, simpatica canaglia che le promette una vita allegra, movimentata e rutilante nel sogno della quale la giovine lascia gli studi e la prospettiva di una tediosissima e inutilissima laurea in lettere da faticosamente guadagnarsi ad Oxford. La ragazza, però, aprirà gli occhi eccetera eccetera) dicevo, fra altri pregi, ce n’è uno che mi ha intrigato, anzi due.

Il primo: lo script riesce a tenere in perfetto (pure troppo) equilibrio i vari capitoli psicologici dell’educazione sentimentale di Jenny.
La sua ribellione è credibile e condivisibile. E’ autentica e anticonformista. Per di più è suffragata da una scelta precisa: la ragazza (semplice ma di carattere) sa bene che l’opzione è fra la grigia prospettiva di una esistenza semisquallida e la non del tutto nitida dal punto di vista morale vita che le promette il bellimbusto. Lo spettatore, seppure disponga di tutti gli elementi utili a giudicare tutto sommato scellerata la scelta della ragazza, e anche piuttosto superficialotta, è portato, secondo me, a parteggiare per lei. Le sue ragioni sono raccontate in modo che risultino condivisibili e per un bel pezzo di film viene naturale starle dietro, facendo la strada con lei, scongiurando l’arrivo di una temibile resipiscenza che le metta la testa sulle spalle.

Non penso di rivelare chissà quale segreto se dico che a un certo punto succede qualcosa per cui, invece, la ragazza la testa sulle spalle ce la rimette. Qualcosa di fronte alla quale chiunque si sarebbe tirato indietro. La sua non è quindi una vera e propria scelta, ma una sconfitta.

E’ come svegliarsi da un sogno, per lei ma anche per lo spettatore, che solo a questo punto riconosce che sì, effettivamente la scelta di Jenny non era propriamente una furbata, e neppure troppo condivisibile, da nessun punto di vista (non era supportata da un ideale rivoluzionario e antiborghese, per capirsi, ma dall’adesione acritica a un programma esistenziale aristocrateggiante e snob esclusivamente improntato al futile & dilettevole. Del resto David, il suo compagno di merende e la di lui bellissima e vacua compagna, l’attrice Rosamund Pike, sfoggiano tratti di un cinismo e una superficialità che non possiamo definire assoluti solo perché in generale tutti i caratteri sono – efficacemente – piuttosto border line. Difficile esprimere un giudizio irrevocabilmente negativo sulle loro – alla fin fine modeste – malefatte: questo in fondo giustifica psicologicamente l’adesione empatica alle scelte di Jenny e al tempo stesso segnalano la meschinità d’animo dei personaggi, impossibilitati per loro natura a ricoprire il ruolo di eroe/antieroe).

Anche qui, però: la decisione finale, così come la precedente, viene raccontata con la necessaria delicatezza, da non sembrare, se non a un primo livello, un ripiego moralista (la sana, onesta vita di una futura insegnante di lettere non può valere la facile ricchezza). Anche perché in fondo lascia tralucere un retrogusto amaro che fa scorgere, ben annodata al progetto esistenziale medio fra le pieghe di ciò che è necessario, una ferita nascosta.

La seconda cosa interessante, dal punto di vista narrativo, è il fatto che questo progetto così povero (ma di sicuro molto divertente, specie per una ragazzina di diciassette anni) trovi l’entusiastico consenso dei rigidi, puritani, e paraculi, genitori di lei. I quali ci mettono un paio di minuti a gettare alle ortiche la giudiziosa prospettiva oxfordiana ritenendo estremamente più vantaggiosa quella di un bel matrimonio con il ricco e fascinoso gentiluomo.
Così, voglia di divertirsi e bieco pragmatismo britannico trovano un punto di sintesi nella debolezza e cecità che nel padre (soprattutto) di fronte alle innocenti menzogne dei promessi sposi, fa da contraltare all’ingenuità di Jenny di fronte al favoloso mondo di promesse dorate.

Entrambi, padre e figlia, ne escono a colpi di dure prese di coscienza ma dolorose, non patetiche, e la cosa funziona.
Ecco, forse in questo film ci sono troppe cose che funzionano.
Insomma, stelline? Tre su cinque.

(pubblicato anche su La poesia e lo spirito)

CHER. Il film

(non "CHET", come è scritto su YouTube!)

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Backstage!

  ciak1
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CHER, un primo bilancio

18 febbraio 2009 1 commento

Betta Rossi e Vito TuostoOggi avrebbero dovuto terminare le riprese. Abbiamo avuto un piccolo inconveniente: il sole. E il gelo. E la neve. Niente da fare, tutti a casa, come Veltroni. Appuntamento a martedì, o mercoledì prossimi, tempo permettendo. La produzione (il sottoscritto) ci ha  rimesso un centinaio di euro di affitto di materiale non utilizzato. Tutto considerato l’ho presa bene. Sono sicuro che qualche giorno in più servirà a mettere a fuoco alcune soluzioni di regia.

Ieri invece è andato tutto a meraviglia.
Al chilometro sessantasei virgola quattro della Salaria, appena scollinato, la temperatura è precipitata, da tre-tre e mezzo-quattro gradi, è piombata a zero, o qualcosa meno. E da lì non si è più risollevata. Poco male. Il cielo ingrigiva: era quello che volevamo. Ha cominciato anche a nevischiare. Poco, ma meglio di niente.

Mentre la troupe è salita sul pullman dove ha girato alcune scene fra "Fabio" e "Cher" (vedi foto), io in macchina lo seguivo, riprendendo con la mia telecamera il paesaggio e il pullmann stesso, che mi precedeva. Non fatelo. Non sapevo se guardare nel monitor della videocamera o la realtà, subito oltre. C’era una scena simile in Tokio ga, mi pare, di Wenders. O era quello sulla moda. Comunque il rischio di cappottare è piuttosto basso.

Ho girato un po’ di backstage, mi sono divertito. Abbiamo girato tutto quanto ci eravamo prefissati, e già questo è fantastico. Non ci sono stati screzi, sono stati tutti molto pazienti e disponibili. Girare un film, a qualsiasi livello voi vi collochiate nella scala produttiva e/o artistica è una cosa di una noia mortale.DSCF1953 A meno che non siate: a) il regista; b) l’aiuto-regista in una grossa produzione (non il caso nostro); c) il direttore della fotografia. Basta. Tutti gli altri passano la maggior parte del loro tempo a oziare/fumare/bere. O a girare il backstage, rompendo le palle a chiunque capiti sotto tiro con la faccia la più annoiata possibile. Nel nostro caso non c’è stato modo di annoiarsi troppo. Per via del freddo.

Il ruolo dello sceneggiatore (il mio: quello di produttore è puramente occasionale) è quello che all’interno della troupe consente di stressarsi il meno possibile. I più grandi sceneggiatori italiani sono sempre stati dei gran pigri. Una volta che il lavoro è consegnato e approvato si piomba in uno stato di deresponsabilizzazione davvero invidiabile.

Alla fine si è guastato il registratore digitale, e abbiamo dovuto interrompere, a meno di rinunciare al dialogo e fare un film muto (di doppiarlo non si parla nemmeno fra giovani filmaker),
Faceva un freddo cane e la cioccolata calda e il thè esotico, offerta dalla produzione, cioè sempre da me, sono stati accolti con estremo sollievo da tutta la troupe.

Ma chi è CHER?

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Corto cinese

Poi siamo andati a prenderci una pizza nella rosticceria cinese, lì vicino all’Alphaville, al PIgneto.
Sopra il bancone delle pizze e dei supplì c’era il televisore appollaiato all’angolo proprio sotto il soffitto. C’erano due che parlavano e ridevano in cinese. Ho pensato che fosse sintonizzato su Canale 5 e che fosse Striscia la notizia e aspettavo il punto in cui sarebbero arrivate le risate fuori campo a seguito di un commento di E.Greggio, ma poi le risate non arrivavano mai, e nemmeno il commento di E. Greggio, né della Hunziker né di Iachetti, ma anzi quei due continuavano a parlare in cinese e forse non c’era proprio niente da ridere, perché poi ho capito, quasi subito, che era la televisione cinese, quella che i due cinesi proprietari dellarosticeria stavano guardando, la CCTV.
Era una specie di telegiornale, o una roba di approfondimento, perché subito dopo si è visto un distinto signore cinese parlare al microfono di una sala molto grande, molto gremita di pubblico, che si è capito subito essere nientemeno che la Cambridge University. Oggi ho scoperto che era il presidente del consiglio cinese, e che qualcuno gli ha anche tirato una scarpa, per non farlo sentire meno importante di G.W.Bush, ricordate? l’ex presidente. Ma né la televisione inglese né, tantomeno, quella cinese hanno mostrato la rimarchevole impresa.
In ogni modo, le immagini dell’intervento del primo ministro cinese alla Cambridge University saranno durate tipo dieci minuti, tutto il tempo che abbiamo passato lì ad aspettare che la pizza fosse pronta.
Appena tirata fuori dal forno elettrico, la ragazza che serviva al bancone ha cambiato canale, perché stava cominciando il film su Italia Uno.

Le prove del corto erano nel frattempo erano saltate: due attori su tre non si sono presentati. Non è il modo migliore per cominciare.
In conpenso ho potuto vedere le imamgini dei sopralluoghi che FF, il regista, aveva girato qualche giorno fa vicino il Terminillo, in montagna. Belle immagini. Ancora non ci siamo, seondo me, ma non disperiamo.

C’era l’attrice, che dovrà recitare la parte di una ragazza russa. Per fortuna deve pronunicare solo poche battute, perché ha paura di non saper rendere l’accento. Non è un’attrice professionista e so bene che lì ci giochiamo parecchio della già scarsa crediblità.

Poco prima di uscire per andare a prendere le pizze al taglio (margherita, con le salsicce, con le patate) non so a chi è venuto in mene il nome di un attore. Ma non posso dire altro. Chissà. Sarebbe un bel colpo.

C’era un vento caldo e umido furioso, ieri sera al Pigneto. FF è partito per la Calabria. Tornerà fra dieci giorni.
Il titolo. Dimenticavo: Cher. Poi un giorno vi spiegherò perché.

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Neve

E’ ufficialmente partito il progetto "Neve". Una piccola cosa. Un racconto, un film.
Tanto per cominciare bene la telecamera che doveva serivre per i sopralluoghi non ne voleva sapere di caricarsi. Dopo un paio di giorni però ha ceduto, ha capito che non le conveniva e si è arruolata alla troupe.
Sempre nello stesso giorno, cioè ieri, abbiamo trovato un produttore. E’ sempre una bella cosa quando qualcuno investe su un progetto in cui crede (nella fattispecie il produttore sono io, ma questo è un dettaglio, l’importante è che mia moglie abbiadato il suo benestare). http://maps.google.it/maps?g=terminillo&ie=UTF8&ll=42.455096,12.984424&spn=0.018111,0.028281&t=h&z=15&output=embed&s=AARTsJqdGC8pf_0FxSQlPukmA1cGHRoZhQ
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