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Stoner, di John Edward Williams

John Edward Williams, Stoner, 1965

[le letture del martedì di RdB]

Stonerè la storia della scoperta di una vocazione intellettuale. Il protagonista si emancipa, attraverso lo studio, da un mondo agricolo di povertà, come quello dei romanzi di Faulkner e Steinbeck.

Il professore universitario cerca per tutta la vita di fare ciò che ogni studioso dovrebbe fare: lavorare duramente, far crescere gli studenti più meritevoli, confrontarsi lealmente con i colleghi, scrivere dei libri che ne manterranno la memoria dopo la morte.

Stoner parla di formazioni e passioni intellettuali, di innamoramenti e gelosie, di amori e fallimenti affettivi, di amicizie e odi, di comprensioni intime e incomunicabilità assolute. Il sogno di una vita dedicata allo studio viene messo a dura prova dalla realtà. Ci sono le due guerre, c’è la perdita dei genitori e di un carissimo amico, ci sono relazioni impossibili con i parenti più cari.

C’è soprattutto lo scontro con quanto di peggio possa capitare nella vita universitaria – un collega votato sistematicamente alla denigrazione – e con quanto di peggio possa capitare nella vita matrimoniale: l’unione con un coniuge nevrotico e il disastro dell’educazione di una figlia (a quest’ultima si sarà ispirata Philiph Roth per la figura della figlia dello Svedese in “Pastorale Americana”?).

Williams ha trovato l’equilibrio per tenere insieme la storia. Stoner è un professore modesto, che si ferma al grado di ricercatore: il romanzo racconta, talvolta con velocità altre volte con lentezza – come insegna Calvino – come la vita di una persona normale possa essere sconvolta dalla morte di un amico in guerra; dall’ incontro con la donna che gli rimarrà accanto per tutta la vita; dal malessere strisciante della moglie; dalla ragazza che diventerà sua amante. La normalità di un uomo accanto all’enormità delle cose che gli accadono: questo è il segreto del libro.

Stoner parla di noi, della vita di ogni essere umano, dalla gioventù alla maturità. Le descrizioni di cosa significhi invecchiare, ammalarsi e morire non sono inferiori alle pagine di Roth in “Patrimonio” e in “Everyman”. Nella prima pagina Williams ci dice che nulla è rimasto di Stoner, come pensa Cormac McCarthy dei poveracci che svaniscono nel nulla nei suoi romanzi. Ma sul letto di morte, prendendo in mano un suo libro, Stoner è felice perché “sapeva che una piccola parte di lui, che non poteva ignorare, era lì, e vi sarebbe rimasta“.

E’ lo stesso obiettivo conseguito da Williams con questo grande romanzo.

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