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Posts Tagged ‘romanzi’

Resistere non serve a niente (scrivere un romanzo forse sì)

16 settembre 2012 6 commenti

Walter Siti gode di una pressoché unanime stima, e non sarò io a intaccarla. E’ un autore con una voce, come ce ne sono pochi. Avere una voce non è semplicemente avere uno stile. E’ lo stile, ed è le cose che racconta, e come le racconta, ma non da un punto di vista semplicemente stilistico: è l’impasto dei temi (la cruda realtà così com’è: becera, violenta, a-culturata, televisiva, raccontata senza spocchia, ma con un disgusto morale che per essere davvero tale e assoluto dimostra, prima di esserlo, di essersi davvero sporcato, da molto vicino, con l’oggetto stesso del disgusto: pasolinianamente – Siti è il curatore dell’opera completa di Pasolini); del modo di raccontarli (una lingua sporca ma nitida, priva di orpelli, similitudini e metafore che fanno tanto romanzo moderno); della sintassi e della scelta delle parole.

Nei suoi libri Walter Siti fa uso spesso di un personaggio che si chiama Walter Siti, e spesso questo Walter Siti somiglia moltissimo a Walter Siti. Nel suo ultimo libro, Resistere non serve a niente, Walter Siti è un po’ più Walter Siti del solito.
Cominciando a leggerlo mi è venuto da pensare: ma perché Walter Siti non ha fiducia nel romanzo? Perché Don Delillo, Abraham Yehoshua, David Foster Wallace (a suo modo, ma in definitiva: ognuno a suo modo), Richard Ford, Philip Roth, Cormac McCarthy, Roberto Bolaño hanno (avevano) fiducia nel romanzo? Sono (erano) più stupidi? Più ingenui? Più commerciali?

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Direttamente da un romanzo di…

7 gennaio 2009 2 commenti

Cormac McCarthy? Elmore Leonard? Edward Bunker? Joe R. Lansdale?

Qui: http://www.repubblica.it/2006/05/gallerie/esteri/ladro-autostrada/3.html

 

Scrivere secondo Abraham Yehoshua

20 marzo 2008 2 commenti

La mia grande ammirazione per Abraham Yehoshua sta trovando conferma nella lettura de Il lettore allo specchio, un libretto Einaudi dove sono raccolte le conversazioni sul romanzo e l’arte di scrivere che Yehoshua ha avuto alla Scuola Holden di Torino.

Yehoshua mi sembra sempre di più un punto di riferimento imprescindibile. Non per seguirne i passi come un discepolo, ma come portavoce di un modo di raccontare perfetto.

Le parole sono impegnative, ma non scelte a caso. Per questo sono entrambe in corsivo. Yehoshua racconta, e lo fa come pochi. Racconti a tutto tondo, densi, divertenti, drammatici, pieni di senso. La sua scrittura è nitida e classica.
Qualcuno potrà dire: troppo classica. Sì, ma… Non saprei, e comunque non è questo il punto. Il punto è che comunque è una pietra di paragone.

Trascriverò qui sul blog, a partire da oggi, le citazioni a mio giudizio più interessanti.

"So bene che agli editori non piacciono i racconti, preferiscono pubblicare romanzi perché si vendono meglio, ma questa è una pressione indebita delle case editrici sullo scrittore, che viene incoraggiato a scrivere un romanzo prima che sia veramente maturo per farlo.
Io ho sempre avuto il massimo rispetto per il romanzo. Non basta avere in mente una storia per scrivere un romanzo, ci vuole anche una certa visione del mondo, una certa comprensione della realtà; se uno scrittore non capisce la realtà, il suo romanzo sarà, di fatto, un racconto breve diluito."

(p. 10-11)