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Archive for the ‘citazioni’ Category

Citazioni

Citazioni come se piovesse, sul blog cugino.

Dagli amati Richard Ford e Abraham Yehoshua, sullo scrivere, sull’amore, sulla vita

“Secondo me la domanda principale è “come” qualcosa succederà, e non “che cosa” succederà. Riuscire a trattenere l’attenzione di chi legge sul come e non sul cosa è un problema che deve affrontare qualunque scrittore. E’ nei libri gialli che per lo più ci si chiede soprattutto che cosa succederà, ma dopo che si è finito il libro non ci si pensa più, mentre in altri tipi di romanzo si sa già che cosa avverrà e la domanda essenziale verte sul come. E’ lo stesso nella vita reale; nessuno si preoccupa di che cosa faremo a mezzogiorno, perché sappiamo già che andremo a pranzo. Quello che vogliamo sapere del nostro futuro è come sarà. L’equilibrio fra il che cosa e il come è l’arte dello scrittore.”

Abraham B. Yehoshua, Il lettore allo specchio, p. 41-42
[lo trovate qui, nella categoria “Scrivere“]

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Il futuro delle biblioteche

1 marzo 2011 4 commenti

(secondo Boogie, ovvero secondo Mordecai Richler, ovvero Barney Panofsky)

"L'umanità, con tutta evidenza imperfetta, non ha ancora concluso il ciclo evolutivo. In un prossimo futuro, magari solo per comodità, i genitali dei due sessi saranno al posto oggi occupato dalla testa, e le bevute sempre meno necessarie, le faremo sotto la cintura. Il che consentirà a giovani e meno giovani di incastrarsi a dovere senza preliminari romantici e senza quel defaticante armeggiare con cerniere lampo e bottoni. In altre parole, gli umani saranno in grado di stabilire quello che Forster chiamava “un semplice contatto” aspettando che scatti il verde al semaforo, in coda al supermercato, sulla panca di una sinagoga o di una chiesa. Tanto il brutale fottere quanto il più delicato “fare l’amore” lasceranno il posto alla “capocciata”, e a frasi tipo “Oggi passeggiando per la Fifth Avenue ho incrociato una bona pazzesca, e le ho dato una bella capocciata”.
L’aspetto sorprendente di questa evoluzione culturale è che i luoghi proibiti dove si daranno convegno i peccatori (sbottonandosi la patta o calandosi le mutande per fare due chiacchiere come si deve) non saranno più i bordelli, o casini che dir si voglia, ma le biblioteche, sotto minaccia di chiusura ad opera della Buoncostume letteraria. E la nuova malattia sociale sarà l’intelligenza".

(Mordecai Richler, La versione di Barney. Traduzione di M.Codignola. Adelphi, 2000, p. 221)

Colleghe?

"Perché le prostitute che smettono poi diventano tutte perbenino?  E' come se le ambizioni da bibliotecarie che hanno represso per tanto tempo tracimassero tutte insieme."

(David Foster Wallace, Infinite Jest, p. 369)

I libri non sono necessari

"Lo sbaglio che fate voi colleghi della vendita al minuto sta nel voler persuadere i clienti che i libri sono una necessità. Dite loro che sono un lusso. Li compreranno! La gente deve lavorare così duramente in questa vita che teme le cose necessarie. Un uomo seguiterà a portare un vestito finché è logoro, mentre difficilmente si adatterà a fumare un cattivo sigaro".

(Christopher Morley, La libreria stregata, p. 46)

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Opportunismi

"Gli amici intimi e i conoscenti di lunga data provano un'attrazione naturale per le donne che trovano in  casa d'un amico: e cioè per sua nonna, sua madre ,sua sorella,sua figlia, sua zia, sua nipote o sua cugina, quando queste siano ricche; e per sua moglie, sua sorella, sua figlia, sua nipote, sua cugina, la sua amante o la sua cameriera, quando queste siano belle."

(Henry Fielding, Tom Jones, p. 97)

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Tristezza

"Peggio di essere triste è solo quando gli altri sanno che sei triste […] Si addormentava con il cuore ai piedi del letto, come un animale domestico che non faceva parte di lui. E ogni mattina si svegliava con il cuore di nuovo nel forziere della sua gabbia toracica, divenuto un po' più greve, un po' più debole, ma ancora in grado di pompare sangue."

(Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata, p.60)

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Ifici ed efatti

IFICIO – Ificio è quella cosa che ha uno scopo, è stata creata per lo scopo che svolge, e ha attinenza con il mondo. Tutto in un certo modo, è un esempio di ificio.
EFATTO-  Un efatto è un fatto al passato. Per esempio, dopo la distruzione del primo tempio, molti credono che l'esistenza di Dio sia diventata un efatto.
ARTIFICIO – Artificio è quella cosa che è stata arte nella concezione e ificio nella realizzazione. Guardatevi attorno. Gli esempi sono dovunque
ARTEFATTO – Un artefatto è il prodotto di un tentativo riuscito di ricavare una bella cosa senza scopo, senza utilità, di un fatto al tempo passato. Non può mai essere arte, e non può mai essere un fatto…

(Jonathan Safran Foer, Ogni cosa è illuminata, p. 242)

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Gli uomini (secondo Sharon Stone)

19 Maggio 2010 1 commento


"
Sono continuamente avvicinata da uomini di vent’anni. Probabilmente sanno che nel mio frigo c'è sempre del cibo e che gli chiederò com'è andata la loro giornata".

(da qui)

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Tennis

5 marzo 2010 3 commenti

campo_da_tennisSchtitt sapeva che il vero tennis non era fatto da quella mistura di ordine statistico e potenziale espansivo che veneravano i tecnici del gioco, ma ne era anzi l'opposto – non-ordine, limite, i punti in cui le cose andavano in pezzi e si frammentavano nella bellezza pura. Che il vero tennis non era più riducibile a fattori delimitati o a curve di probabilità di quanto lo fossero gli scacchi o la boxe, i due giochi di cui è un ibrido. […] E Schtitt, le cui nozioni di matematica formale sono probabilmente equivalenti a quelle di un puericultore taiwanese, sembrava tuttavia sapere ciò che Hopman e van der Meer e Bollettieri sembrano ignorare: e cioè che individuare la bellezza e l'arte e la magia e il miglioramento e le chiavi dell'eccellenza e della vittoria nel complesso flusso di una partita di torneo non è una questione frattale di mera riduzione del caos a forma. Sembrava sentire intuitivamente che non era una questione di riduzione ma – perversamente – di espansione, il fremito aleatorio della crescita incontrollata e metastatica – ogni palla ben colpita ammette n possibili risposte, 2 alla enne possibili risposte a queste risposte, e così via fin dentro a quello che Incandenza avrebbe definito  […] un continuo cantoriano di infinità di possibili colpi e risposte, Cantoriano e bello perché capace di crescere eppure contenuto, un'infinità di infinità di scelte ed esecuzioni, matematicamente incontrollata ma umanamente contenuta, delimitata dal talento e dall'immaginazione di se stessi e dell'avversario, ripiegata su se stessa dalle frontiere date dall'abilità e dall'immaginazione che infine fanno soccombere uno dei giocatori, che impediscono a entrambi di vincere, che finiscono col fare di tutto questo un gioco, queste frontiere del sé.

[…]

Cosa sono quelle frontiere se non le linee di fondocampo, che contengono e dirigono verso l'interno l'infinita espansione del gioco, che rendono il tennis simile agli scacchi in movimento, un gioco bello e infinitamente denso?
La grande intuizione di Schtitt […]: il vero avversario, la frontiera che include, è il giocatore stesso. C'è sempre e solo l'io là fuori, sul campo, da incontrare, combattere, costringere a venire a patti. Il ragazzo dall'altra parte della rete: lui non è il nemico, è più il partner nella danza. Lui è il pretesto e l'occasione per incontrare l'io. E tu sei la sua occasione. Le infinite radici della bellezza del tennis sono autocompetitive. Si compete con i propri limiti per trascendere l'io in immaginazione ed esecuzione. Scompari dentro al gioco: fai breccia nei tuoi limiti: trascendi: migliora : vinci. Ecco la ragione per cui il tennis è l'impresa essenzialmente tragica del migliorare e crescere come juniores serio mantenendo le proprie ambizioni. Si cerca di sconfiggere e trascendere quell'io limitato i cui limiti stessi rendono il gioco possibile. E' tragico e triste e caotico e delizioso. E tutta la vita è così, come cittadini dello Stato umano: i limiti che ci animano sono dentro di noi, devono essere uccisi e compianti, all'infinito.

(David Foster Wallace, Infinite Jest, pp. 113-114, 116)

La domenica della vita

8 febbraio 2010 1 commento

Quasi ogni domenica imparo una cosa, anche piccola, dal celebre supplemento culturale del Sole 24 Ore.

Ieri, per esempio ho scoperto che sul suo blog, Margaret Atwood ha redatto il decalogo per contrastare il temibile "blocco dello scrittore" (così a memoria mi ricordo solo il punto 1, farsi una doccia, e il punto 5, mangiare del cioccolato almeno al 60% – orrore! almeno all’80 se proprio si deve…).

Ho poi scoperto l’esistenza di Alessandro Banda, del quale Giovanni Pacchiano, che cura la rubrica NarrItalia, dice che ha scritto "il libro di narrativa più importante degli anni Duemila", Dolcezze del rancore (Einaudi 2002, non più in commercio). Ammetto di non averlo mai sentito nominare.

Ho letto la non indispensabile stroncatura del bravissimo Roberto Escobar al film di Muccino (questo tipo di recensioni io le definisco "difensive": ho come l’impressione, infatti, che di tanto in tanto Escobar si trovi costretto ad occuparsi di titoli con cui potrebbe fare a meno di perdere tempo, come ha dovuto fare qualche settimana fa con il film di Verdone, per affermare un minimo di verità critica di fronte a recensioni-marchette che si leggono di tanto in tanto di qua e di là – no, non sui blog, ma su Repubblica, per esempio).

E infine ho letto questo brano di Roland Barthes, inserito in un volume, in uscita in Francia, che racchiude frammenti  che il grande critico aveva eliminato dalla sua autobiografia (Roland Barthes par Roland Barthes). Spiega la ragione del suo rifiuto di assumere droghe.

"… la coscienza (nel senso più banale del termine) è un piacere e non vuole perderne una briciola: gli è necessario assaggiare la vita nella sua asciuttezza. La vita nuda e cruda è già abbastanza romanzesca perché io debba affidarla, anche un solo istante, alla più piccola protesi percettiva o immaginativa (occhiali neri, droga, o romanzo confezionato)."

(il titolo del post è preso dall’omonimo romanzo di Raymond Queneau)