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Posts Tagged ‘Nanni Moretti’

Mia madre, di Nanni Moretti / 2

28 aprile 2015 1 commento

NanniMorettiMiamadreNon penso di essere la persona più indicata per parlare dei film di Nanni Moretti. Infatti, per motivi casuali, generazionali, ambientali e culturali, in qualche modo io posso considerarmi il suo orizzonte d’attesa di elezione. Non è né un merito né una colpa: nulla di cui vantarsi. E’ un fatto, non esclusivo, che immagino coinvolga un certo numero, piuttosto ampio, di persone fra i cinquanta e i sessant’anni, romane, e in particolare di una certa parte della città, con determinate idee politiche e passioni (il cinema, ovviamente). Questo fa sì che io entri nei suoi film in un modo quasi intimo, il che giustifica anche il tono personale di questa recensione. Non c’è film di Moretti nel quale io non ritrovi qualcosa di estremamente familiare. Il che mi pone nei loro confronti con una predisposizione positiva che potrebbe nuocere all’osservazione critica. Mia madre non fa eccezione. Che film è Mia madre? E’ certamente un film, come i precedenti, sull’inadeguatezza di vivere. Tutti i film di Moretti parlano di questo: da Sogni d’oro a Bianca a La messa è finita. Ne La stanza del figlio, Habemus papam e in quest’ultimo il tema viene messo proprio al centro della scena, ben illuminato e affrontato in un corpo a corpo quasi impudico. Leggi tutto…

Mia madre, di Nanni Moretti. Da due punti di vista

28 aprile 2015 1 commento

Capita spesso, uscendo da un cinema, che le opinioni sul film appena visto siano diverse, se non diametralmente opposte. E’ il caso di Mia madre, l’ultimo film di Nanni Moretti, che sta dividendo (non solo su questo blog) le opinioni degli spettatori.

Al titolare del blog (chi scrive) è piaciuto molto. A RdB, storico collaboratore del martedì, invece no. In questo post l’opinione di Rdb. A breve seguirà la mia. E voi che ne pensate?

Nanni Moretti, Mia madre (2015)

mia-madreChe delusione l’ultimo film di Moretti. Lento, senza scatti, poco originale, senza idee. Solo la riproposizione di un lutto che inevitabilmente colpisce gran parte dell’umanità e la storia di una regista in crisi.

Sono un estimatore di Moretti e vedere il suo film non mi ha fatto piacere. È stato come leggere un romanzo di uno scrittore che ammiri e trovarlo deludente. Come guardare la partita di calcio della squadra del cuore e trovarla imbarazzante.

Ho una tesi su Moretti. I suoi film danno il meglio quando propongono una visione ideologica, una visione del mondo. Si può essere contrari a quella visione, ma non la scordi più. “Bada come parli frate” è una parodia del romanzo italiano più letto nelle nostre scuole. “Io sono un autarchico” ed “Ecce bombo” sono l’Italia di sinistra, e non solo, degli anni Settanta, vista con tutte le contraddizioni e le comicità possibili. “Bianca” è una concezione della coppia: conservatrice, impossibile da condividere, ma che non dimentichi. “La messa è finita” è la scomparsa di un mondo che non c’è più e che non tornerà, in una fase, gli anni Ottanta, di grande cambiamento italiano. “Palombella rossa”, uno dei capolavori di Moretti, è la crisi della sinistra: l’invenzione del film intorno e dentro la partita di pallanuoto è fantastica; quando un regista proverà a farlo con una partita di calcio sarà un altro successo. “Il caimano” è uno dei pochi film che hanno avuto il coraggio di trattare il caso Berlusconi, anche se filmicamente non mi aveva convinto. “Aprile” è un piccolo gioiello che mischia un fatto privato come la nascita del figlio con le elezioni politiche, le recensioni cinematografiche e un pasticciere trotzkista nella Roma degli anni ’50. I primi due episodi di “Caro diario” restano belli a distanza di anni. L’idea di “Habemus papam” è geniale; e aver scelto e diretto Michel Piccoli è stato un capolavoro.

Quando invece Moretti si rifugia in una versione solo intimista, troppo schiacciata sull’esperienza personale, i risultati sono inferiori. Penso a “Sogni d’oro”, il primo film che Moretti sbagliò. Penso al terzo episodio di “Caro diario”, con la storia del dermatologo. Penso a “La stanza del figlio” (anche se riconosco che posso trovarmi in minoranza, dato che si tratta del più grande successo internazionale di Moretti, con la vittoria a Cannes).

La mia tesi è che Moretti sia fondamentalmente un regista e un attore grottesco, ironico, dotato di scarti fulminanti, di assoluta intelligenza, talvolta legati a una delle sue passioni, l’impegno politico, sul quale ha sempre avuto la capacità di scherzare.

“Ma qui non sto capendo niente, forse avrò sbagliato ideologia”. “Ve lo meritate Andreotti, ve lo meritate”. “Continuiamo così, facciamoci del male”. “Io penso che sarò sempre d’accordo con una minoranza”. “Trend negativo, io non parlo così”. “Le parole sono importanti”. “Chi parla male pensa male e vive male ”. “Fate a tutte l’epidurale”. “D’Alema dì una cosa di sinistra, dì almeno una cosa”. Si potrebbe continuare per molto.

La dimensione tragica non appartiene a Moretti. Come Vittorio Gassman – un gigante – che ha dato il meglio nella farsa o nelle situazioni tragicomiche, piuttosto che nella tragedia assoluta, come è la morte di una madre o di un figlio. E infatti anche in “Mia madre” le scene più belle sono gli scarti dalla realtà, il sogno della regista Margherita Buy o le scene comiche con il bravo Turturro. E una delle poche batture da ricordare si ricollega a quella capacità che Moretti ha sempre avuto di stravolgere la realtà (almeno a parole):  “Margherita, fai qualcosa di nuovo, di diverso, rompi almeno un tuo schema, uno su duecento”.

Provaci ancora Nanni. Più ideologia, più distacco dalle cose quotidiane del mondo, più sarcasmo, più cattiveria, più ironia, meno autobiografia. Speriamo tutti che prima o poi ci sorprenderai con il pasticcere trotzkista.

Habemus papam, di Nanni Moretti

Forse un po’ se le cerca, Nanni Moretti.
Parlare dei suoi film diventa quasi sempre l’occasione per parlare d’altro. Dei temi che hanno ispirato i suoi film (e fin qui ci possiamo anche stare). Ma poi anche delle infinite, stucchevoli reazioni suscitate dai suoi film, dalle prese di posizione, le polemiche che riempiono le pagine dei giornali e ora pure dei blog. Chiacchiere di cui non si sentirebbe alcuna necessità, che affondano nella polemica d’attualità spesso, molto spesso di bassissimo profilo.
Eppure, alla fine, interessanti per capire in quale stagno nuoti il Paese.

Habemus papam è un film “indimenticabile”. No. “Biasimevole” (e “senza mezze misure”). Il primo aggettivo gliel’lo ha affibbiato Repubblica. Il secondo l’arcivescovo di Matera, Monsignor Salvatore Ligorio. L’aggravante, per Repubblica, è di averlo visto. L’aggravante, per l’arcivescovo di Matera, di non averlo visto.

Cosa abbiamo fatto di male, noi a cui sembra che delle cose si possa/debba discutere senza per forza dover imbracciare le armi?

Potrà mai Habemus Papam essere un film alla pari con, che so? Citizen Kane, 2001 Odissea nello spazio, Il Dottor Stranamore, Apocalypse Now (la lista è lunga e soggetta, anche, al gusto personale). E si può continuare a stare a sentire gente che parla senza avere idea ciò di cui si parla?

Tanto per cominciare, se proprio si deve estremizzare, direi che Habemus Papam è un film che prende letteralmente per i fondelli la psicanalisi (e non dirò nulla al riguardo, per non far perdere il piacere della scoperta a chi il film lo deve ancora andare a vedere: sono comunque le parti più divertenti del film), e invece affronta in modo garbato, moderato, riflessivo e dolente il problema del ruolo della religione nella società di oggi. Anche in modo divertente, affettuosamente surreale, certo non irriguardoso.

Moretti racconta di un mondo, quello Vaticano, del tutto reinventato allo scopo di darne una lettura metaforica, tenendosi lontano anni luce da una realtà che un po’ tutti conoscono a Roma, specie i “borgaciari” (=abitanti di Borgo, usi da sempre all’incontro ravvicinato con gli alti prelati al bar, o nella vicina Cantina Tirolese, un tempo frequentata dall’attuale Pontefice): un mondo “ricco” – ahimè – di piccole e grandi ipocrisie, piccole o grandi sconcezze, dove la bassa politica di Palazzo è spesso l’unica logica dominante nelle relazioni interpersonali: un mondo vero, ma difficilmente verificabile, che perciò diventa oggetto di racconti alla Dan Brown (diventando automaticamente fiction, assimilabile più a 007 che alla realtà così com’è).
A Moretti questo non interessa affatto.

Il Conclave di Nanni Moretti diventa una specie di Villa Arzilla malinconica e divertente, casta, innocente e pura, drammaticamente  (e per questo comicamente) lontana dal mondo reale (la già celebre battuta sul gioco della palla prigioniera che non si gioca più da 50 anni ne è l’epitome) ma molto, molto lontana dal vero, per quanto utile alla causa della commedia (che ritaglia un angolino dell realtà, lo amplifica e lo deforma per ottenere il risultato di parlare della realtà più e meglio di quanto non si riesca a fare mettendogli davanti uno specchio – questo dai tempi di Aristofane, più o meno).

Il personaggio del Papa (straordinario, come si usa dire in questi casi, Michel Piccoli – e straordinario il lavoro di casting, nella scelta dei volti dei Cardinali), al contrario, è oggetto della meditazione profonda di Moretti. La sua umana debolezza, disperazione, sensibilità, paura, dolcezza, il suo infantile bisogno di affetto e di risarcimento è descritto con affetto, partecipazione e toni cecoviani (non per caso presenza decisiva nel film). L’aspirazione del giovane pontefice alla carriera teatrale (come Karol Wojtyla?) diventa l’aspetto cruciale della sua profonda paura del compito che si è trovato sulle spalle.
Recitare era la sua – giustamente – frustrata ambizione giovanile. Recitare è esattamente quello che non vuole fare da Papa, ed è esattamente invece quello che il patetico portavoce vaticano pensa sia opportuno fare in un momento così delicato. Il Papa, come è noto, nel film ha infatti accettato l’incarico, ma non pubblicamente, perciò il Conclave non può dirsi concluso, e a nulla valgono, per convincerlo, gli sforzi di ricorrere a due un po’ ridicoli psicanalisti, marito e moglie, separati, modesti guaritori narcisisti legati ancor più dello stesso Papa al loro ruolo, alle loro idiosincrasie, alle loro debolezze e ai loro bisogni di rassicurazione. Qualcosa bisogna inventarsi per tenere a bada il popolo di Dio in ansia: far recitare ad una buffa controfigura la parodia del Papa in preghiera, in meditazione, intravisto dietro i tendaggi nei suoi appartamenti, prima di assumere davanti a sé e a Dio un compito così gravoso: una finzione ridicola e soprattutto totalmente inutile.

Certo, se si assume di default che non sia possibile mettere in discussione nulla dell’umanità e del ruolo del Capo della Chiesa Cattolica in un mondo in cui “todo cambia” , come dice la bella canzone citata nel film,  tanto vale chiuderla qui e arrivederci e grazie.
Se al contrario si è disposti a mettere in gioco la voglia di rinnovamento, di cambiamento, il senso di inadeguatezza che dovrebbe essere parte di ogni manifestazione umana, a prescindere dall’intervento, o meno, dello Spirito Santo, non si può non porsi davanti a questo film con l’umiltà e la ragionevolezza che dovrebbe essere bagaglio di qualsiasi uomo pensante. E scoprirne l’ansia di purezza, non di fastidio; di assoluto, non di grezzo relativismo.

Un film “piccolo”, intimista, con qualche sbavatura (il torneo di pallavolo fra cardinali poteva essere più breve) divertente e saggio.

Il caimano / Nanni Moretti

Chissà se Nanni Moretti aveva in mente il cinema civile degli anni sessanta. O a Michael Moore. O a queste due cose insieme.
Il caimano sembra essere l’avviso di garanzia recapitato all’ex premier, non danannimoretti, ma dal mondo del cinema – un atto dovuto.
Si dice, si è detto, che la televisione, anche quella migliore, abbia soffiato al cinema la materia prima autoproclamandosi unico strumento idoneo a indagare la realtà. Il paradosso Berlusconi è che di lui – uomo di televisione e di cinema: forse proprioperché uomo di televisione e di cinema – la televisione non si è di fatto mai realmente potuta occupare. Men che meno il cinema. Leggi tutto…